Onorevoli Colleghi! - In Italia, come in moltissimi Paesi europei, è pressante la richiesta di sicurezza da parte dei cittadini. Anche in presenza di dati circa i fenomeni criminali che in molte zone del Paese si possono definire allarmanti, quello di sicurezza è un bisogno sempre più percepito da parte dell'opinione pubblica.
      Come necessità primaria questo deve spingere lo Stato ad adoperarsi per rispondere nel migliore dei modi a tale richiesta.
      Richiesta che troppo spesso si scontra con la penuria di mezzi e di risorse che opprime le Forze dell'ordine nazionali.
      La sicurezza di un Paese parte dal basso, cioè dal rispetto delle più banali, ma non meno importanti, regole del vivere comune.
      I regolamenti urbani, commerciali, edilizi, stradali, e via dicendo, sono il corollario di una più estesa materia che arriva poi fino alla disciplina penale dell'ordine pubblico.
      L'Italia ha a sua disposizione una forza di oltre 60.000 uomini, con punte di estrema professionalità, che può vantare un rapporto privilegiato con il tessuto sociale delle nostre città e con le singole realtà locali, fino alle più piccole.
      Si tratta della polizia locale, così individuata da molte regioni come l'insieme delle polizie municipali e provinciali.
      Tuttavia questa forza non sempre è a dovere impiegata nel migliore dei modi per rispondere al bisogno di sicurezza dei cittadini, anche per la mancanza di uno strumento legislativo adeguato, fermo ancora a una legge quadro datata 1986 (legge 7 marzo 1986, n. 65) e ampiamente superato nei fatti e nelle consuetudini oltre che nelle sentenze giurisprudenziali e nelle direttive del Ministero dell'interno.
      Inoltre, la necessità di unire gli sforzi delle varie Forze dell'ordine nel territorio

 

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in un sinergico impegno nel controllo dello stesso rende sempre più necessario, non solo culturalmente ma anche tecnologicamente, un ampio utilizzo di forme di «coordinamento» fra i vari soggetti con la necessità di un dialogo comune che deve quindi mettere tutti nelle condizioni di avere ruoli definiti e chiari.
      Il processo di devoluzione e di riforma costituzionale avviato negli ultimi anni poiché ricade direttamente, tra le altre cose, sui sistemi di sicurezza, non può prescindere dall'individuare i pilastri su cui fondare la riorganizzazione delle polizie locali e dei relativi servizi regionali.
      È necessario dunque, nel rispetto delle autonomie locali, definire un quadro normativo all'interno del quale le regioni stesse debbano legiferare nella loro autonomia ma in presenza di condizioni omogenee sull'intero territorio nazionale.
      Cioè, pur lasciando alle regioni, alle province e ai comuni il loro spazio, vanno stabilite una volta per tutte alcune ben definite e precise caratteristiche, affinché un agente di polizia locale sia, da Agrigento a Bolzano, riconosciuto dal cittadino per un profilo base identico e certo dal punto di vista giuridico in genere.
      La presente proposta di legge intende, in questo senso, fornire le polizie locali e le amministrazioni locali dello Stato di uno strumento normativo che sappia adattarsi alle necessità imposte dal processo di devoluzione in atto e alle modifiche ad esso apportate dalla Costituzione.
      La legislazione vigente, incentrata sulla citata legge quadro n. 65 del 1986, in parte obsoleta, vincola gli oltre 60.000 agenti delle polizie locali italiane a una definizione insufficiente e inadeguata della loro professione e del loro ruolo.
      In particolare si trovano ad operare in condizioni professionali che variano completamente da comune a comune, sia in termini di formazione che di equipaggiamenti e dotazioni, rendendo spesso difficile il coordinamento con le altre Forze dell'ordine, con la riconoscibilità dei loro compiti da parte del cittadino ad eccezione, ovviamente, della classica attività contravvenzionale.
      Ma in particolare gli operatori delle polizie locali hanno in diverse occasioni espresso il bisogno di una chiara e moderna definizione del loro ruolo, che veda una molteplice serie di specializzazioni, che rende di conseguenza necessaria una «contrattazione separata» dal contratto nazionale degli enti locali, dai quali la tipologia professionale (turnazioni, servizi festivi e notturni, indennità di rischio, di disagio e di ordine pubblico, solo per fare alcuni esempi) nettamente si distingue.
      È assurdo infatti che attualmente, sia in sede di contrattazione nazionale, sia in sede locale, le rappresentanze sindacali unitarie, elette per l'80-90 per cento da dipendenti pubblici amministrativi, siano poi le stesse che dovrebbero tutelare gli interessi di lavoratori completamente estranei alle loro tipologie di servizio. Cosa c'entra, cioè, un dipendente operante presso il settore anagrafe, commercio, lavori pubblici e così via con un agente di polizia locale?
      In quest'ottica occorre altresì definire la funzione di polizia giudiziaria svolta ai sensi dell'articolo 55, comma 3, del codice di procedura penale, dagli ufficiali e agenti della polizia locale. Il medesimo codice tuttavia qualifica gli operatori della polizia locale come ufficiali o agenti di polizia giudiziaria a competenza limitata (nel territorio del comune di appartenenza e durante lo svolgimento del servizio), e nei limiti dei compiti cui la polizia locale è demandata (polizia urbana e rurale, annonaria, edilizia, sanitaria, stradale eccetera).
      La prassi, tuttavia, ha di fatto superato i limiti imposti fin qui dal codice di procedura penale. In particolare non è inusuale che procuratori della Repubblica nominino diversi addetti al servizio di polizia municipale come pubblici ministeri di udienza anche per processi non concernenti le materie investite dalla citata legge quadro n. 65 del 1986.
      Nella prassi quotidiana, inoltre, tutte le procure d'Italia convalidano atti posti in essere da personale della polizia municipale che a stretto rigore di norma sarebbero riservati agli ufficiali di polizia giudiziaria,
 

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della Polizia di Stato, dell'Arma dei carabinieri o del Corpo della guardia di finanza (intercettazioni telefoniche, obbligo di firma presso i comandi per i pregiudicati, fotosegnalamenti dattiloscopici eccetera).
      Dal punto di vista delle competenze la «riforma Bassanini» e i vari processi di devoluzione in atto, hanno caricato i comuni e le altre amministrazioni locali di nuovi oneri, e i comuni in particolare hanno fatto a loro volta ricadere la gestione di queste competenze proprio sulle polizie municipali, ma neppure la riforma stessa ha voluto con più coraggio e rispetto procedere a una chiara definizione dei compiti delle stesse.
      Occorre dare avvio a una nuova fase culturale: con la sua elezione diretta, e grazie al suo rapporto privilegiato con il tessuto sociale delle città metropolitane o delle comunità più piccole, il sindaco è ormai percepito come il primo referente nelle istituzioni ed è a lui che i cittadini rivolgono le richieste concernenti i loro bisogni primari.
      Di pari passo è necessario che le polizie locali siano percepite e possano operare come le prime referenti per il bisogno di sicurezza nelle città. A questo riguardo diverse polizie municipali sono state le prime, per altro su richiesta del Ministero dell'interno, a sperimentare la polizia di prossimità, il cosiddetto «vigile di quartiere».
      La presente proposta di legge, dunque, risponde a una serie di necessità impellenti, dalla definizione dei compiti degli operatori locali a una risposta efficiente alle esigenze dei cittadini. In questa ottica risulta fondamentale individuare canoni e parametri comuni che permettano di uniformare alcuni aspetti fondamentali quali i criteri di selezione, la formazione, l'addestramento, gli equipaggiamenti e le dotazioni vari.
      L'uniformare alcuni aspetti della vita operativa delle polizie locali non significa tuttavia voler cancellare il loro profondo legame con il territorio, che va anzi salvaguardato. Per questo alcune di queste funzioni (selezione, formazione e addestramento) andranno assegnate alle regioni, attraverso le scuole di polizia, di cui ogni regione dovrà dotarsi entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge o, per quelle già esistenti, uniformarle a tale legge, pur salvaguardando la loro autonomia organizzativa.
      La presente proposta di legge, infatti, tiene a salvaguardare profondamente il carattere municipale e provinciale che queste polizie rivestono, soprattutto per quanto concerne il comando e il controllo delle stesse.
 

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